Sentenza della Corte di Cassazione n. 12413 del 19 aprile 2022

la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e confermando la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, ha stabilito che nell’ambito delle...

Con l’Ordinanza n. 12413 del 19 aprile 2022 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di frode carosello e in particolare con riferimento agli indici dai quali è possibile desumere la partecipazione del contribuente all’evasione fiscale.

Ebbene, con l’ordinanza in commento la Suprema Corte ha respinto il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate, e per l’effetto confermato la sentenza del giudice d’appello. Ed infatti, la Commissione Tributaria Regionale, sebbene, per un verso, abbia accertato l’esistenza di una frode carosello e, per altro, la conclusione di diverse operazioni commerciali in una fase della catena da parte di un gruppo di società, ha comunque escluso la compartecipazione delle contribuenti all’intesa fraudolenta con i soggetti beneficiari dell’evasione fiscale.

Orbene, la Cassazione ha ritenuto di condividere la sentenza di appello laddove è stato dedotta la sussistenza della buona fede delle società contribuenti in quanto impossibilitate ad essere consapevoli del disegno criminoso posto in essere da terzi. Sotto tale profilo, in particolare, è stata innanzitutto valorizzata la circostanza che per accertare la frode fiscale è stato necessario ricorrere a complesse indagini da parte della guardia di finanza, condotte attraverso accessi, ispezioni ed intercettazioni telefonico. Pertanto, è stato opportunamente rilevato come non sia imputabile all’imprenditore la mancata percezione del coinvolgimento in un sistema frodatorio laddove tale frode sia stata riscontrata soltanto grazie ad articolate attività di indagine poste in essere dai verificatori. In secondo luogo, al fine di affermare l’estraneità all’evasione iva da parte delle società del gruppo, è stato evidenziato come queste ultime prima di partecipare all’attività commerciale – oggetto della successiva d’indagine dei verificatori – avessero richiesto la consulenza di uno studio commerciale allo scopo di avvalersi di un c.d. studio di fattibilità. Infine, tanto i giudici di appello quanto la Suprema Corte hanno ritenuto dirimente la circostanza che fosse stata rilasciata da parte del Gruppo una fideiussione di 8 milioni di euro per concludere le operazioni commerciali contestate. In particolare, i giudici, tanto di merito quanto di legittimità, hanno considerato che solo la consapevolezza della liceità delle operazioni finanziarie (successivamente oggetto di verifica) poteva condurre al rilascio di una tale fideiussione. Ed infatti è stato condivisibilmente ritenuto che l’esposizione finanziaria del contribuente depone a favore dell’insussistenza di un accordo nell’evasione d’imposta posto che – almeno generalmente – i soggetti implicati nella frode tendono a limitare il proprio coinvolgimento finanziario.

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