Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea Causa C-512/21

La Corte di Giustizia con la sentenza del 1° dicembre 2022 relativa alla causa C-512/21 torna a pronunciarsi in tema di frodi carosello...

La Corte di Giustizia con la sentenza del 1° dicembre 2022 relativa alla causa C-512/21 torna a pronunciarsi in tema di frodi carosello e in particolare ribadendo che incombe all’Amministrazione finanziaria l’onere di provare sulla base di elementi oggettivi, che il cessionario era consapevole di essere coinvolto nella frode, ribadendo che non può domandarsi al soggetto passivo che lo stesso proceda a verifiche complesse e approfondite come quelle che possono essere effettuate dall’amministrazione finanziaria

La vicenda trae origine da una verifica fiscale a seguito della quale l’Amministrazione tributaria ungherese ha negato ad una società la detrazione dell’Iva contestando che tale società durante i periodi esaminati, aveva partecipato ad una frode di tipo carosello. Tale constatazione è fondata, in particolare, sulla violazione di disposizioni di diritto nazionale relative alla sicurezza della catena alimentare che dimostrerebbe che l'obiettivo perseguito era il dirottamento dei prodotti di cui trattasi dalla Slovacchia verso l'Ungheria. Essa è fondata, altresì, su un numero di elementi che dimostrerebbero la partecipazione attiva del soggetto passivo a una frode, tra cui il fatto che i contratti erano conclusi con la partecipazione di quest'ultimo, l'esistenza di una clausola inusuale nei contratti di trasporto, il fatto che il cliente slovacco abbia rivenduto verso l'Ungheria i beni che si era procurato lo stesso giorno in Ungheria e l'esistenza di legami tra le persone coinvolte nella catena di fatturazione. Essa ha, altresì, menzionato elementi che dimostrerebbero che il soggetto passivo non aveva dato prova di sufficiente diligenza, tra cui il fatto che il gestore della società con cui il soggetto passivo aveva concluso un contratto di mandato aveva già partecipato in precedenza ad una frode in materia di IVA, il fatto che tale società avesse partecipato alla catena di fatturazione fraudolenta nonché altri fatti che dimostrerebbero la partecipazione di tale gestore alla frode.

L’autorità giurisdizionale ungherese, investita della controversia, si è interrogate sulle seguenti questioni: in primo luogo, sulla questione se l'amministrazione tributaria potesse assimilare la conoscenza dei fatti costitutivi della frode che aveva avuto una persona fisica, rappresentante legale di una società con la quale il soggetto passivo aveva concluso un contratto di mandato per l'esercizio della sua attività, alla conoscenza che tale soggetto passivo aveva della stessa, senza esaminare il contenuto del contratto di mandato. In secondo luogo, esso si interroga, alla luce dei fatti della controversia di cui al procedimento principale, sulla diligenza che può essere richiesta al soggetto passivo al fine di evitare di partecipare ad una frode e, nell'ambito di una frode di tipo carosello, sulle circostanze che possono essere prese in considerazione per dimostrare che il soggetto passivo poteva essere a conoscenza di tale frode. In terzo luogo, esso chiede se l'amministrazione tributaria possa, per negare il diritto alla detrazione dell'IVA, fondarsi su una violazione di norme diverse da quelle rientranti nel diritto tributario, come quelle relative alla sicurezza della catena alimentare.

La CGUE, richiamando in proposito la recente sentenza Ferimet, C 281/20, ha, enunciato, fra gli altri, il principio secondo cui “la direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretata nel senso che:- essa osta, qualora l'autorità tributaria intenda negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto alla detrazione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) assolta a monte in quanto tale soggetto passivo ha partecipato ad una frode dell'IVA di tipo carosello, a che tale autorità tributaria si limiti a stabilire che tale operazione fa parte di una catena di fatturazione circolare” ciò in quanto “spetta a detta autorità tributaria, da un lato, individuare con precisione gli elementi costitutivi della frode e dimostrare le condotte fraudolente e, dall'altro, dimostrare che il soggetto passivo ha partecipato attivamente a tale frode o che sapeva o avrebbe dovuto sapere che l'operazione invocata a fondamento di tale diritto si iscriveva in detta frode, il che non implica necessariamente l'identificazione di tutti i soggetti che hanno partecipato alla frode nonché dei loro rispettivi comportamenti”.

La CGUE ha poi chiaramente affermato che “la mera circostanza che i membri della catena di cessioni, di cui fa parte tale operazione, si conoscessero non costituisce un elemento sufficiente per dimostrare la partecipazione del soggetto passivo alla frode”.

Infine, è importante sottolineare come la CGUE abbia ribadito, anche in tale occasione, come non si possa pretendere dal soggetto passivo che lo stesso “proceda a verifiche complesse e approfondite come quelle che possono essere effettuate dall’amministrazione finanziaria”.

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